sabato 3 settembre 2011

3 4 5 settembre I DUE PRESIDENTI

1996. La relazione speciale tra Stati Uniti e Inghilterra, individuata e auspicata da Churchill, vive un momento d'oro con Clinton e Blair, entrambi di centrosinistra, entrambi mossi da una reale volontà di cambiare le cose e da una visione comune. L'uomo più potente del mondo prende il primo ministro britannico sotto la propria ala, inaugurando un idillio non solo diplomatico ma soprattutto personale e amicale, che scricchiola sotto il peso dello scandalo Lewinsky e tramonta definitivamente, poco dopo, alle prese con la strategia bellica da adottare in Kosovo.
Michael Sheen veste per la terza volta l'aria ingenua ma determinatissima di Tony Blair, nel terzo capitolo della trilogia firmata Peter Morgan, che ha visto il televisivo The Deal e il film The Queen affidati alla regia di Stephen Frears e questo The Special Relationship a Richard Loncrain, dopo una defezione dell'ultima ora dello stesso Morgan.
Nonostante il film si guardi da cima a fondo senza cali di attenzione, è evidente che siamo nuovamente più in zona racconto televisivo ed episodico che non in zona cinema puro. La ragione non sta soltanto nell'uso differente della macchina da presa ma nell'assenza volontaria di quel filtro che Frears allentava ma ancora manteneva tra coscienza privata e coscienza politica, quella zona di mistero e di vuoto che il rituale e il simbolico esigevano, complice la presenza di un'istituzione altrettanto vuota e misteriosa come la monarchia. Qui, al contrario, anche poiché i temi trattati hanno ben altro peso, la scrittura è improntata ancora alla mimesi ma sottomessa alla responsabilità e asservita alla verificabilità di ogni parola ed ogni azione. Col risultato che, curiosamente, come spesso accade al cinema, la verità suona più fasulla dell'immaginazione, la ricostruzione meno credibile dell'invenzione ex novo.
Il film racconta il rapporto tra i due presidenti come una relazione sentimentale, nella quale il delfino Tony s'infatua del più vecchio ed esperto Bill, prende a vestirsi come lui, lo cerca al telefono nel cuore della notte, gli parla dal bagno, quasi in clandestinità, o dal talamo, pende irrazionalmente dalle sue labbra e gli si dichiara apertamente, citando la bibbia, nel momento del bisogno. Dall'altra parte dell'oceano, anche Clinton commenta con la consorte il fascino del nuovo alleato, almeno fino a quando questo non lo “pugnala alle spalle”, con un discorso pubblico inaspettato, niente meno che sul suolo americano.
Per trattarsi di una trilogia su Blair stupisce quanto maluccio ne esca il protagonista, peggio persino del ridicolo Dennis Quaid in una caratterizzazione superficiale e macchiettistica di Clinton, perché il giudizio sul primo ministro non è di ordine estetico bensì morale.
I tempi del film sembrano di primo acchito non tornare: troppo veloce la vampata d'ambizione di Blair, troppo rapido il cambiamento d'avviso, l'approdo al livello di Bush e dei suoi scherzi privi di classe: eppure forse, a ben pensarci, non sono lontani da quelli della Storia.

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