giovedì 28 luglio 2011

L'ULTIMO DEI TEMPLARI 28 29 LUGLIO

Behmen e Felson sono due templari che hanno combattuto a lungo come Crociati divenendo famosi per il numero di nemici uccisi. Quando però comprendono che la loro guerra in nome di Dio comporta il massacro di donne e bambini inermi decidono di abbandonare il campo di battaglia. Catturati come disertori ottengono la liberazione solo a patto di scortare una presunta giovane strega a un monastero situato in un luogo distante. I monaci che vi risiedono posseggono un antico libro le cui formule consentono di smascherare la stregoneria. La ragazza è accusata di aver diffuso la peste bubbonica. I due templari, accompagnati da un sacerdote, un soldato, un giovane aspirante cavaliere e un imbroglione esperto del percorso, affrontano l'impervio tragitto.
Come spesso accade il titolo italiano è fuorviante. I templari non sono uno bensì due (accanto a Nicolas Cage troviamo Ron Perlman che avevamo cominciato ad apprezzare nei panni, sempre medioevali, del Salvatore de Il nome della rosa) e nel loro essere attivi in coppia risiede parte dell'interesse del film unito all'ambiguo ruolo della giovane strega ‘protagonista' del titolo originale. Perché il film di Dominic Sena gioca le proprie carte più che sul finale, effettistico ma abbastanza deja vu, proprio sul filo del rasoio di un anticlericalismo sempre in procinto di trasformarsi nel suo contrario. Se la parte iniziale (dopo un prologo che definisce il rapporto della società di allora con coloro che venivano definite streghe) sembra un riassunto di Le crociate di Ridley Scott con la conseguente messa in discussione del fanatismo religioso cristiano (ma con un occhio al presente e quindi facendo attenzione a non mostrare troppi arabi riconoscibili come tali) ciò che segue si muove sulle sabbie mobili della doppia morale. Da un lato, grazie al cameo di Christopher Lee nei panni dello sfigurato e morente cardinale D'Ambroise, la credenza nella stregoneria assume la valenza conclamata dalla Storia di una persecuzione contro la donna da parte di una società dominata dai maschi. Nello sviluppo del cupo on the road però il ruolo della giovane donna muta più volte fino a giungere a un finale che non sveleremo ma che non può restare privo di un giudizio da parte dello spettatore. Sena, che sembra combattuto tra il film storico e l'horror, nell'Anno Domini 2011, sembra ancora credere se non nelle streghe in qualcosa di a loro molto affine.

mercoledì 27 luglio 2011

PROGRAMMA DELL'ARENA

               ARENA AIRICICLOTTERI
                                       programma dei film




28 29 L'ULTIMO DEI TEMPLARI
di Dominic Sena

30 31 luglio 1 agosto
 LA BELLEZZA DEL SOMARO
di sergio castellitto

2 3 agosto
 FIGLI DELLE STELLE
di lucio pellegrini

4 5 agosto
AMORE E ALTRI RIMEDI
Edward Zwick

6 7 8
ADELE E L'ENIGMA DEL FARAONE
luc besson

9 10
IMMATURI
Paolo Genovese

11 12
INCEPTION                 
 di Christopher Nolan

13 14
MR BEAVER
di jodie foster

15
FOCACCIA BLUES
di Nico Cirasola       ( a cinema con gusto)

16 17
FEMMINE CONTRO MASCHI   
di Fausto Brizzi

18 19
INCONTRERAI L'UOMO DEI TUOI SOGNI
di woody allen

20 21 22
RED
di Robert Schwentke

23 24
BENVENUTI AL SUD
di Luca Miniero

25 26
LA VITA FACILE
di Lucio Pellegrini


27 28 29
THE NEXT THREE DAYS
di Paul Haggis

30 31
LA VERSIONE DI BARNEY
Di Richard J. Lewis


1 settembre
I NONNI RACCONTANO

2 settembre
CHI STA BUSSANDO ALLA MIA PORTA
di Martin Scorsese

3 - 4 - 5
I DUE PRESIDENTI
di Richard Loncraine



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martedì 26 luglio 2011

26 27 LUGLIO SE SEI COSI TI DICO SI

Piero Cicala, negli anni '80, è stato un cantante di successo. La sua hit “Io, te e il mare” ha venduto quasi un milione di copie. Poi il mondo si è dimenticato di lui e il mare della canzone è tornato ad essere quello di Savelletri, il paesino della Puglia da cui Piero era partito e dove è tornato, a fare il cameriere nel ristorante che ha comprato per sua moglie quando gli ha concesso il divorzio. Ora, però, una trasmissione televisiva di prima serata, di quelle che vanno a caccia di meteore e vecchie glorie, gli propone di riprendere in mano il microfono per una sera. Dopo una lunga riflessione, Piero accetta di stare al gioco, s'infila un parrucchino e la vecchia giacca con i bottoni di madreperla e parte alla volta di Roma. Qui, nel grande albergo in cui è ospitato per la notte, viene travolto da Talita Cortès, top model e icona del momento, e dal suo seguito di assistenti e paparazzi. È un caso a farli finire nella stessa camera, ma poi Piero entra davvero nelle simpatie della diva, che vorrebbe portarlo con sé in America, l'indomani stesso. 
Il regista Eugenio Cappuccio e lo scrittore Claudio Piersanti riscrivono, con l'aiuto di Guia Soncini, un'idea originale di Antonio Avati, che tanto originale non è ma è di certo una buona idea. Nasce così la parabola di Cicala, un uomo che ha avuto successo e poi l'ha perso, con la medesima velocità ma ben altre conseguenze, che si è lasciato diventare vecchio e grasso prima del tempo, che soprattutto si è portato dietro un rimpianto, quello di non aver mai veramente detto la sua (leggi: cantato la sua canzone), e per questo tiene prigioniero un polipo in un acquario, in attesa di una liberazione o di una lenta morte per costrizione. Il personaggio interpretato da Belen Rodriguez, al di là della retorica sotterranea per cui i due in fondo in fondo non sarebbero così diversi, funziona da spinta per restituire a Piero la fiducia in se stesso; è –o meglio, dovrebbe essere- quello che fu Mathilda per Léon. Peccato che tutta l'altra metà dello scambio, quella in cui lui insegna a lei che deve essere se stessa, per “salvarla” in tempo dal destino che lo ha sommerso e rischia di toccare in sorte anche a lei, sia sprecata, pasticciata, buttata alle ortiche, affidata ad una telefonata improvvisa a Berlino nella quale la modella s'impone al committente come fotografa di se stessa. In questo modo il titolo, oltre che orrendo, si svuota anche di senso: “se sei così”…come? Non c'è vera qualità, al di là della bellezza. 
Rispetto ai modelli più alti a cui si rifà, da Scrivere una canzone a Notting Hill, il film di Cappuccio sceglie di non seguire la strada della commedia romantica ma di essere sentimentale in un altro senso, più malinconico e consono alla bella penna di Piersanti. Malgrado le due brutte scene in testa e in coda, è un proposito onesto. Rispetto all'idea iniziale del produttore, invece, che vagheggiava toni e personaggi esagerati, quasi a sfiorare il grottesco, sceglie di smorzare, di addolcire, di fare di Piero più una sorta di Scialpi che un vero catorcio e di Talita una finta dura anziché una Paris Hilton, ma la limatura è imperfetta e il film rinuncia a troppo, all'amaro vero, alla vera tenerezza, finendo per alludere soltanto a quel che poteva essere e non è. 
Ottimo Solfrizzi, niente male anche Belen.

domenica 24 luglio 2011

stanno tutti bene 24 25 luglio

Frank Goode è un ex operaio in pensione e ora vedovo. I suoi quattro figli, che avrebbero dovuto raggiungerlo e per i quali sta preparando una festosa accoglienza, accampando le più diverse motivazioni si defilano. Frank, nonostante il parere contrario del medico, decide che, se loro non possono venire, andrà lui a trovarli facendo loro una sorpresa. Si troverà così a scoprire che le vite di coloro ai quali pensava di avere dato il meglio non sono rosee come gli avevano fatto credere.
La regola secondo la quale i remake (soprattutto quelli made in Usa) sono inferiori agli originali abbisogna ogni tanto di un'eccezione. Questo Stanno tutti bene di Kirk Jones rappresenta l'eccezione. Pur seguendo piuttosto fedelmente la sceneggiatura del film di Tornatore, Jones riesce a offrirne una rilettura attuale. Grazie a un De Niro che sfugge periodicamente (e per nostra fortuna) alle commedie 'alimentari' che il suo agente gli propone per tirare fuori il suo lato migliore che non è stato indebolito dallo scorrere degli anni. Perché qui la tendenza degli script americani a ‘spiegare' assume valore quando all'inizio ci viene presentata la vita metodica di Frank, ex operaio con un milione di cavi messi in sicurezza alle spalle. Quel milione di cavi che gli ha consentito di pensare che i suoi figli avrebbero vissuto un American Dream diverso dal suo. Il Frank di De Niro esprime con gli occhi, che stanno diventando sempre più delle fessure, una convinzione che ha costruito con fatica dentro di sé sentendo però nel profondo di stare mentendo a se stesso.
La convinzione è quella di aver fatto il suo dovere di padre spingendo i figli a dare sempre di più e, soprattutto, a tenere il fiato sul collo a David il più refrattario e, al contempo, quello che si sentiva più in dovere di realizzare le aspettative paterne. Non si dimentica Mastroianni vedendolo in azione. Ci si accorge invece che quando una sceneggiatura valida viene rivisitata con rispetto e con un cast all'altezza (Rockwell e Barrymore in particolare) non si è fatta solo un'operazione commerciale ma le si è restituita la vitalità.
Anche con quella molteplicità di finali che possono costituire il momento più commovente ma anche il più debole. Che qui viene abilmente marcato dall'ambiguità inserendolo nel contesto del Natale, ampiamente retoricizzato dal cinema americano.

giovedì 21 luglio 2011

21 e 22 luglio INCONTRERAI L'UOMO DEI TUOI SOGNI

Alfie ha lasciato la moglie Helena perchè, colto da improvvisa paura della propria senilità, ha deciso di cambiare vita. Ha iniziato così una relazione (divenuta matrimonio) con una call girl piuttosto vistosa, Charmaine. Helena ha cercato di porre rimedio alla propria improvvisa disperata solitudine cercando prima consiglio da uno psicologo e poi affidandosi completamente alle ‘cure' di una sedicente maga capace di predire il futuro. La loro figlia Sally intanto deve affrontare un matrimonio che non funziona più visto che il marito Roy, dopo aver scritto un romanzo di successo, non è più riuscito ad ottenere un esito che lo soddisfi. Sally ora lavora a stretto contatto con un gallerista, Greg, che comincia a piacerle non solo sul piano professionale…
Woody ha preso nuovamente l'aereo ed è tornato in Gran Bretagna dopo che era tornato a respirare aria di Manhattan con Basta che funzioni. Nonostante l'aspetto sempre più fragile, Allen ha ormai le spalle più che larghe per sopportare l'ennesima, ripetitiva reprimenda critica: “Racconta sempre le stesse cose”. È vero: Woody non si inventa novità senili per stupire il pubblico. Anzi qui, fingendo di appellarsi allo Shakespeare del “Macbeth” in realtà si riallaccia al finale di uno dei suoi film più ispirati, Ombre e nebbia, che si chiudeva con la frase: “L'uomo ha bisogno di illusioni come dell'aria che respira”. Sono trascorsi quasi vent'anni da allora e, in materia, Allen sembra essersi ormai arreso all'evidenza: è proprio (e sempre di più) così. 
Come in Tutti dicono I Love You (ma con l'esclusione dell'adolescenza) le diverse età si confrontano con un bisogno di qualcosa che esemplificano con la parola ‘amore' ma di cui, se richiesti, non saprebbero dire il significato. Non potendo sfuggire a questa esigenza ognuno cerca di trovare delle soluzioni che finiscono con il rivelarsi aleatorie e provvisorie anche se ognuno, in cuor suo, vorrebbe che fossero 'per sempre'. Ma il 'per sempre' non esiste nell'universo alleniano. Ognuno cerca di porre rimedio alla propria solitudine come può e come sa e non ha neppure bisogno di essere perdonato per questo. 
L'umanità non può comportarsi altrimenti. Ciò che invece va duramente punito è il furto intellettuale, l'appropriarsi di idee altrui spacciandole per proprie, perseguire il successo a spese degli altri. In questo caso Woody diventa un giudice implacabile. Sarà anche vero che ritorna su propri temi. Ma sono 'suoi' per stile, qualità, leggerezza e profondità.

mercoledì 20 luglio 2011

LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI 20 luglio

Alice e Mattia. Coetanei a Torino. Bambini le cui coscienze sono attraversate da un trauma profondo che non li abbandonerà mai. Alice e Mattia. Si conoscono. Potrebbero amarsi. Si separano (lui accetta un incarico in Germania e lei si sposa). Potrebbero ritrovarsi se consentissero a se stessi ciò che si sono sempre in qualche modo vietati.
Saverio Costanzo alla sua terza prova si assume il non facile compito di rileggere un best seller quale è il romanzo omonimo di Paolo Giordano (con il quale scrive la sceneggiatura). Lo fa con grande coraggio a partire dal nuovo mutamento di stile. Nessuno dei tre film del regista è simile all'altro nello sguardo e nelle modalità di ripresa perché Costanzo adatta il proprio fare cinema (che resta coerente in quanto a scelta di tematiche di base) alla storia che racconta. Questo può spiazzare chi preferisce che un regista rimanga sempre fedele ad elementi linguistici che lo rendano facilmente identificabile e collocabile. 
Costanzo destruttura la linearità narrativa del romanzo avvertendoci sin dall'inizio (grazie anche alla musica di Mike Patton e a una grafica di forte impatto) che ci troviamo dinanzi ad un horror. Perché l'orrore della sofferenza attraversa corpi ed anime dei due protagonisti. Alice, la cui lesione fisica verrà spiegata solo molto più avanti ma che da subito determina il suo rapporto con il mondo e Mattia, che ha un vulnus che lo tormenta nel profondo spingendolo all'autolesionismo. Due corpi che potrebbero fondersi ma che restano murati in una solitudine che si presenta come ineluttabile perché il senso di colpa e il sentirsi fuori posto (in una società sempre più spietata sin dalle età più giovani) finiscono con lo spingere a costruire muri in cui si possono aprire solo piccole brecce che sembrano sempre pronte a richiudersi. 
I flashback inseguono i flashforward perché il dolore non conosce percorsi canonici e gli eventi che hanno segnato una vita non chiedono il permesso per riemergere. Costanzo ricostruisce la sofferenza del vivere di Alice e Mattia quasi fosse il puzzle che quest'ultimo portò alla festa di compleanno di un compagno di classe che costituì l'atroce punto di non ritorno della sua vita. I pezzi di un puzzle si combinano per associazioni che ogni appassionato al gioco individua in modo diverso e finiscono con il determinare solo alla fine una struttura che origina dal caos di una miriade di pezzi. Così come le vite dei due protagonisti. Così come le vite di molti. Numeri primi divisibili solo per uno e per sé stessi in disperata e talvolta contraddittoria ricerca di una possibilità diversa.

martedì 19 luglio 2011

il mercante di stoffe oggi 19 luglio

lessandro, un ricco e anziano commerciante di tessuti, si affida al nipote e a una giovane archeologa per ritrovare un vecchio medaglione perduto in un piccolo villaggio del sud del Marocco. Durante gli scavi, i due riesumano anche i ricordi della storia d'amore che avvenne in quello stesso deserto fra il mercante e una donna locale. Molti anni prima, infatti, durante uno dei suoi numerosi viaggi alla ricerca di stoffe pregiate, Alessandro si innamorò della seta lavorata dal filatore Omar, così come della giovane promessa sposa di suo figlio, Najiba. La passione fra loro fu travolgente e rovinosa come il caldo respiro del deserto.
Le vie della seta sono infinite e sempre cariche di sentimenti impetuosi. Il lungo itinerario con cui i commercianti carovanieri dell'Occidente attraversavano fin dall'antichità tutto il Medio Oriente e l'Asia Centrale per recuperare questo tessuto pregiato e misterioso, esercita tuttora sul nostro immaginario un forte riverbero di romanticismo e un tocco di esotismo sensuale e leggero. Dopo essersi incarnata nello sguardo e nella voce di una giovane cortigiana giapponese nelle pagine di Alessandro Baricco e nelle tiepide immagini corrispondenti di François Girard, la Seta cambia il suo luogo d'accoglienza, si addentra fra le sabbie del Marocco del primo Novecento e si tramuta nella pelle ambrata e suadente di una giovane berbera. Il tentativo, ambizioso ma importante, de Il mercante di stoffe è infatti quello di unire l'epica struggente del melodramma sentimentale con il fascino esotico delle sabbie baciate dal chiarore lunare, i sapori forti del polpettone hollywoodiano gustati con la paziente cadenza del feuilleton televisivo d'altri tempi. Ma così come per l'estrazione della seta, in cui si uccide la larva prima che diventi crisalide, la produzione di Antonio Baiocco ha avuto una lunga gestazione al termine della quale, per quanto ne sia stata ricavata probabilmente il meglio possibile, non riesce a farsi farfalla. Perché non è tanto da un confronto ad armi impari con i budget produttivi de Il paziente inglese o Il tè nel deserto che il film lascia trasparire le sue debolezze, quanto nella sua drammaturgia incostante. A volte ridondante nella sua poetica evocativa, a volte sbrigativa e brutale, la sceneggiatura si affida a suggestioni visive e sonore che, al contrario, proprio in virtù della lodevole composizione estetica, contribuiscono solo ad enfatizzare questa facile scrittura dei sentimenti e l'assenza di un eros che vada oltre l'esibizione dei bei corpi dei protagonisti. A dimostrazione che ai melodrammi storici si è disposti a perdonare tutto, anche un sentimentalismo naif e un esotismo avvizzito, ma non la mancanza di un amore persuasivo e avvincente.

sabato 16 luglio 2011

CHE BELLA GIORNATA 16 17 LUGLIO

Checco, security di una discoteca della Brianza, sogna di fare il carabiniere ma viene respinto al colloquio. Grazie alla raccomandazione di uno zio presso il vescovo di Milano, si ritrova a lavorare come addetto alla sicurezza del Duomo. Qui conosce Farah, una ragazza araba che si finge studentessa di architettura per avvicinare la Madonnina, ai piedi della quale medita in realtà di depositare una bomba per vendicare l'uccisione della sua famiglia. Checco abbocca immediatamente all'amo di Farah –lui pugliese di madre tarantina e lei “francese di madre bina”- ma quel che la ragazza non può immaginare è che la maggior minaccia per il prossimo e per il patrimonio artistico italiano è rappresentata da Checco stesso: un esplosivo connubio di ignoranza e beata, razzista ingenuità.
Alla seconda prova cinematografica, Checco Zalone, il personaggio creato da Luca Medici per portare a galla il peggio del “buon uomo” italiano, conferma di possedere una scintilla di genialità, che gli permette di conquistare critica e pubblico, distraendoli persino dalle enormi debolezze di fattura dei suoi film. Più idiota di Clouseau, più ingenuo di Mr Bean, maschera poco italiana dell'italiano medio in soluzione concentrata, Zalone non conosce pudore né timore, nemmeno in fase di scrittura, e dunque si scaglia contro le missioni di pace così come contro Chiesa e clero (gli angeli e i demoni di “don Brown”, insomma), come pochi altri oserebbero fare al di là di una battuta, così in grande stile.
Che Bella Giornata non prosegue Cado dalle nubi, il setting è stato azzerato e ripensato in toto, ma estingue per sempre il dubbio che il comico avesse un unico colpo in canna, fatto della somma delle sue sparate televisive, e ci permette di salutare davvero l'avvento di un talento così intelligente da prendere il proprio pubblico come target nel senso letterale di bersaglio (sviando minimamente le indagini quando seleziona l'Islam a pretesto, per impugnarlo in realtà come uno specchio impietoso).
La trovata dell'agente di sicurezza, versione italiota della spia che altrove ha combinato guai immensi (una per tutte, Johnny English), inserisce il nostro idiota del villaggio nel cuore delle relazioni istituzionali, alzando dunque il tiro rispetto all'ambientazione familiare del primo film, ma conservando perfettamente la portata disintegrante del protagonista in quanto elemento (la definizione è di Marescotti) “socialmente scorretto” prima e forse più che politically uncorrect.
Regia di Gennaro Nunziante, musiche diabolicamente indimenticabili di Checco Zalone.

giovedì 14 luglio 2011

14 e 15 luglio SOMEWHERE DI SOFIA COPPOLA

Johnny Marco vive in un appartamento dell'hotel Chateau Marmont. Tra spettacoli erotici di dubbia eleganza e avventure amorose brevi e disimpegnate , trascorre le giornate in un'apatia ovattata e silenziosamente distruttiva. L'inaspettata permanenza della figlia Cleo impone un cambiamento nel ritmo quotidiano dell'attore. Videogiochi, nuotate, esposizioni al sole e un'incursione alla serata dei Telegatti italiani riempiono le giornate dei due famigliari. L'equilibrio apparente dura fino alla partenza di Cleo per il campeggio. E il ritorno alla vita di Johnny.
Dopo il pernottamento a Tokyo di Lost in Translation, Sofia Coppola sposta l'attenzione su un altro hotel, il famoso Chateau Marmont, residenza alternativa di molte star hollywoodiane. Siamo a Los Angeles, in un posto riconoscibile e leggendario, ma i luoghi del film (stanze, piscine, studi televisivi) sono fondamentalmente ‘non luoghi', ambienti senza radici, che, allo stesso tempo, assumono il ruolo di deposito di emozioni forti ma taciute. Le abitudini edoniste del protagonista assicurano l'illusione del successo ma sono così portate all'estremo da trasformare l'eccitazione in indifferenza. Lo sguardo sottile della regista (anche sceneggiatrice del film) ci introduce al personaggio con delicata tenerezza. Non condanna la sua pacata amoralità né giudica l'impacciata ricerca di incontri sessuali; preferisce invece svelare la sostanziale cifra di quei comportamenti, drammaticamente sconsolati e privi di vitalità. Lo stile di ripresa, fatto di lunghi silenzi, inquadrature ferme (dove spesso è uno zoom lentamente graduato ad avvicinarsi al soggetto) e piani-sequenza densi di suggestioni, mettono in luce le contraddizioni esistenziali di Johnny. La regista mostra gli opposti in gioco con un senso dell'ironia seduttivo. L'arrivo discreto della figlia scombina questo piano narrativo e diventa lei la responsabile della riconquista emotiva del padre. È la piccola Cleo il personaggio attivo che ‘pattina' con grazia sulla strada sottosopra del genitore. 
Il circuito chiuso della scena iniziale, dove una Ferrari corre in moto perpetuo, è la rappresentazione visiva dell'aridità umana dell'attore. La scarsità di parole dei dialoghi bilancia la ruvidità del rombo del motore o del chiasso delle festicciole private, per dire che l'affetto, per manifestarsi, non ha bisogno di fare rumore. Il cinema della Coppola, ancora una volta, predilige l'omissione alle dichiarazioni esplicite e in questa rarefatta rinascita del rapporto tra padre e figlia chiede agli attori una gestualità posatissima ma, al tempo stesso, ricca di microespressioni che svelano l'amarezza interiore. Il trash abbonda (l'Italia televisiva è un paese dal quale scappare di corsa) e si insinua nelle camere d'albergo come nell'intimità delle persone, ma rimane, in questo caso, a coprire il ruolo di comparsa. Come Benicio Del Toro in ascensore o Laura Chiatti a Milano. Figuranti di uno spettacolo che va in scena da ‘qualche parte', ovunque e in nessun luogo.

programma definitivissimo di luglio

Programmazione Arena  -Airiciclotteri- LUGLIO - 2011


Martedì 12
Tango sinfonico –Orchestra sinfonica della Provincia di Bari -

Mercoledì 13                                                  

È stato presentato in concorso al Festival di Cannes 1987.            CINETECA PUGLIA


Giovedì 14/Venerdì 15     
Somewhere di Sofia Coppola, 2011
                 

Sabato 16/Domenica 17

Che bella giornata di Gennaro Nunziante con Checco Zalone 2011                                   
Lunedì 18 Martedì 19/
Il mercante di stoffe di Antonio Baiocco  -
(Sebastiano Somma presenta il film  )        A CINEMA CON GUSTO

Mercoledì 20     
la solitudine dei numeri primi   di Saverio costanzo 2011
        

Giovedì 21/Venerdì 22                                         


Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni di Woody Allen, 2011

Sabato 23/Domenica 24/Lunedì 25                                


Stanno tutti bene di Kirk Jones, 2010

Martedì 26

I Nonni raccontano  - ARMIR CHIAMA : CIRASOLA MICHELE …… COMANDI !


Mercoledì 27 Giovedì 28
Se sei così di dico si    di Eugenio Cappuccio 2011

 Venerdì 29 Sab 30 dom 31

La bellezza del somaro di Sergio Castellitto

sabato 9 luglio 2011

9 10 11 LUGLIO IMMATURI un film di paolo genovese

Giorgio è uno psichiatra infantile che va in crisi alla notizia che potrebbe diventare padre, Lorenzo un agente immobiliare che per nulla al mondo lascerebbe il letto a castello e la colazione a letto che gli assicura la permanenza in casa dei genitori, Luisa è una manager separata con una figlia meno distratta di lei, Francesca una chef che cerca di disintossicarsi dall'appetito sessuale, Piero un dj che ascolta ogni notte le nostalgie altrui vivendo immerso nelle proprie e Virgilio quello che con una bugia, vent'anni prima, ha disintegrato il gruppo. Ora però i sei ex compagni di liceo si ritrovano, alla soglia dei quarant'anni, quando una raccomandata del ministero della pubblica istruzione annulla il loro esame di maturità e li obbliga a rifarlo.
Paolo Genovese, alla seconda regia in solitaria dopo il proficuo tandem con Luca Miniero, stana un incubo ricorrente di molti, trasformandolo in commedia romantica e associandosi al gusto per il ripescaggio di quell'età liminale che da qualche anno impazza sui social network, causando reazioni di imbarazzo e vergogna ma anche e soprattutto divertimento e nostalgia.
Il suo Immaturi si propone infatti di raccontare il grande freddo di una generazione che sulla carta non ha ragione di dirsi delusa, poiché si presume nata senza illusioni, relativista, accontentata o comunque capace di accontentarsi. Una considerazione discutibile, che val bene un film che l'argomenti, la confuti o l'approfondisca, ma Miniero non è Zanasi  Lucio Pellegrini e la sua è una commedia che bandisce per partito preso le amarezze e non mira né a commuovere né a far sbellicare ma cerca una terza via, un equilibrio e una felicità epicuree (per restare in tema). Un'opzione di per sé inattaccabile e persino ragionevolissima e auspicabile, nell'ottica di quel cinema medio nazionale tanto invocato per risollevare le sorti e i bilanci di casa e finalmente realtà, di questi mesi e di certi registi. 
Il film, dunque, è ben scritto (fatta eccezione per qualche voice over vuota e letteraria), ottimamente recitato, ben girato e confezionato, ma c'è un ma: se i protagonisti non mancano di convinzioni, mancano purtroppo di storie. Del loro passato, tanto idealizzato, non ci arriva nessuna avventura e spesso anche il presente è funzionale e posticcio. Se non ci fosse uno strepitoso Ricky Memphis, e con lui la sua esile vicenda, che coinvolge anche il personaggio della Bobulova, rimarrebbe poco, davvero troppo poco. A meno di non accontentarsi di un Epicuro banalizzato e farsi bastare l'attimo.